giovedì 15 settembre 2016

Non è il web che uccide, e non educazione digitale occorre, ma educazione e cultura e basta!.




Uccidersi per non aver saputo reggere alla vergogna di vedere la propria intimità sessuale data in pasto al web, ad estranei, ma anche ai propri parenti agli amici a chi si conosce ma al quale non si dice tutto della propria vita, perché nessuno dice mai tutto circa la propria vita e perché poi dovrebbe farlo? La giovane donna di Mugnano, in provincia di Napoli, non ce l’ha fatta e si è impiccata con un foulard nel garage della sua casa. 
Un caso che ha a che fare con la proliferazione delle immagini e sull’importanza che hanno assunto nelle vite di tutti, ma anche su come si vive la sessualità in occidente, in Italia nel 2016.

Ma procediamo con ordine. Ho sentito e letto dei soliti esperti, psicologi, sociologi, psicoanalisti ecc. ecc. che c’è bisogno di educazione digitale, ho sentito sedicenti giornaliste televisive annunciare il suicidio della giovane donna, usando un linguaggio di circostanza ipocrita e conformista e dell’incauto comportamento avuto  della poverina nell’ essersi fatta riprendere mentre stava facendo sesso.

 Allora a me viene da chiedermi che società è la nostra  dove si sbattono tette, culi, e farfalle senza veli dappertutto, dove ognuno sa che tutti fanno del sesso appena in età, e poi ci si uccide, solo perché gli altri hanno saputo o vengono a sapere che tu hai fatto un video porno nella tua intimità, un video che fa parte dei giochi sessuali che la sessualità a volte richiede: vedersi, farsi vedere, mentre si fa   l’amore è una forma di piacere che fa parte del gioco dell’amore: gli antichi mettevano specchi nelle loro alcove sul letto o intorno ad esso per moltiplicare quelle immagini e potersi vedere, oggi abbiamo le video camere e allora? La madre dice che era ubriaca, come se certe cose che attengono alla sessualità, una o uno non potesse farle anche da sobrio.

Invece questa donna si è uccisa per la vergogna, perché tutti hanno saputo che lei, mentre faceva sesso si era fatta riprendere, ma anche perché il video l’ha mostrata mentre si dava da fare a soddisfare i suoi desideri e quelli del partner. Mi chiedo anche se invece di una donna fosse stato esibito o mostrato un uomo se le reazione sarebbero state le stesse.

Spesso dico, quando parlo di sesso, che gli anni ’70 sono stati gli anni nei quali i “discorsi sulla sessualità” –per usare una espressione foucaultiana- sono stati anni rivoluzionari e libertari, anni nei quali, al sesso veniva attribuito un ruolo formativo nella struttura delle coscienze individuali, ovvero il sesso e la sessualità, rappresentavano un punto di critica attraverso il quale l’individualità si riconosceva nel sociale: non a caso esplose il femminismo, o i movimenti di liberazione omosessuali. 

Poi sono arrivati gli anni ’80: anni di culi e tette a ogni ora del giorno e della notte, chi non ricorda Drive In? Il discorso libertario e auto coscienziale del decennio precedente fu trasformato nel più plateale consumo  di corpi esibiti e la sessualità divenne un grande affare commerciale: luoghi di incontro per scambisti, disco e saune gay per acchiappanze facili, insomma cominciò l’arretramento regressivo e degenerativo spacciato per libertà che ci fa arrivare fino al 2016.

Una libertà senza consapevolezza, una libertà senza educazione – e non parlo di educazione digitale ma di educazione e basta, una libertà senza cultura, insomma: una finta libertà o meglio una non libertà.

La mia tesi è che se questo episodio fosse accaduto ad una trentenne degli anni settanta negli anni settanta, questa, oltre a denunciare immediatamente chi aveva diffuso o esibito le proprie performances sessuali, avrebbe immediatamente scritto un libro. Mi vengono in mente i nomi di Erica Jong, di Linda Lovelance, o della nostra grande Moana Pozzi, donne che hanno strenuamente sostenuto il diritto ad una sessualità consapevolmente esibita o auto esibita, senza vergogna, senza ipocrisie e soprattutto con grande coraggio civile.

La sessualità, vale la pena ricordarlo è sempre infamante per una donna o per gli omosessuali, ma mai per i maschi etero per i quali è sempre un grande vanto. Allora, questa povera ragazza di Mugnano, bella, mora, con grandi occhi neri ha fatto quello che fanno tutti oggi, ma che nessuno però ha il coraggio di dire: si fotografava e si è fatta riprendere mentre faceva l’amore per il puro piacere di rivedersi. 

Poi il video è finito in rete e a questo punto sono scattati i pesanti condizionamenti di una cultura arretrata, maschilista e violenta, i sensi di colpa, la vergogna di essere additata come cagna in calore, puttana e chi ne ha più ne metta. Le amiche che si allontanano, magari li facevano anche loro i video, ma vale il motto fascista antico del “ si fa ma non si dice”. Invece  poteva bastare, la solidarietà, che tutte avessero detto e allora? Cosa c’è di male? Ha fatto un video mentre faceva sesso, oggi che si fanno video per ogni cosa, oggi che la riproduzione di immagini in movimento è diventata la prassi quotidiana. Adesso ce lo facciamo pure noi il video per solidarietà, adesso ci facciamo vedere pure noi. Ma questo non è successo e Tiziana cantone si è ammazzata per vergogna, una vergogna legata ancora una volta ad una concezione arcaica e solamente consumistica della sessualità.

Forse sarebbe veramente il caso di riparlare di educazione civile di riaprire un discorso sulla consapevolezza e autodeterminazione sessuale, interrotto negli anni  settanta a bambini, adolescenti, giovani, che confondono i piani percettivi di realtà e di immagini. Troppi hanno abdicato al ruolo di educatori mentre genitori immaturi e narcisisti alimentano un narcisismo maniacale dei loro figli in una deriva infantilistica della società intera: siamo tutti pronti per un selfie, con le boccucce a cuore e i pollici alzati, ma siamo pure tutti pronti a riprendere una violenza sessuale in un bagno di una discoteca e postarlo subito su un social, perché l’importanza è vedersi e farsi vedere.

Oggi tutti noi siamo esposti ad una tecnologia sempre più potente e in questo procedimento espositivo, scatta un “dislivello prometeico” – ossia il fatto che noi siamo inferiori a noi stessi a causa della frattura sempre più ampia tra la nostra capacità produttiva e la nostra capacità immaginativa che ci impedisce di prendere coscienza delle conseguenze perverse dei prodotti che creiamo, ovvero tutti quegli accadimenti e quelle azioni che – senza una educazione- risultano essere nocivi per noi stessi. Arginare e combattere questa onnipotenza tecnologica e questa aberrante deriva narcisistica è il compito che ogni educatore e formatore deve prefiggersi di attuare.



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