Appena le porte si aprirono, mi
sentii contagiato e disfatto, contagiato dalla massa di gente pigiata una
sull’altro e disfatto da quella esperienza che si ripeteva sempre uguale tutte
le mattine, c’era gente in piedi già sulla piattaforma centrale del vagone. La
mia era una desolata ipersensibilità nervosa che mi coglieva in quei momenti,
dandomi spesso nausea o capogiri o extrasistoli che sembravano sfociare in
crisi di panico che però non venivano mai. In quei momenti, all’inpiedi tra la folla niente riusciva a catalizzare la
mia attenzione, o un mio pensiero su qualcosa che potesse solo semplicemente
essere per me una distrazione. Le stabili condizioni dello spirito, che
dovrebbero essere garantite da un’umanità sensibile, in quella calca finivano
per avere scarso valore e vacillare,
mentre ogni passione era annichilita in una grigia apatia. Qualche volta, solo
il profumo che emanava da qualche corpo femminile riusciva a concentrare la mia
attenzione: bisognava stare molto vicini e spesso non erano profumi quelli che
riuscivo a captare. Quella mattina, credo a Torre del Greco, entrò una giovane
donna, entrò è un eufemismo, perché la poverina fu violentemente spinta da
tutti gli altri che volevano entrare, contro quel muro di corpi che già stava
dentro. Era elegante e ben truccata, pensai a quanto tempo mettesse per
truccarsi con quella cura, alle ore che sottraeva al suo sonno ogni mattina:
fondo tinta ben steso, correttore nei punti giusti per togliere il lucido,
rossetto pieno e voluminoso assolutamente perfetto su belle labbra piene. Avvertivo la sua borsa sulla mia coscia e
avevo quasi la faccia immersa nei suoi folti capelli neri. Era ben vestita e
ben truccata e mi sembrava molto infastidita di trovarsi tra me, un uomo molto
corpulento con una tuta e una vecchia maleodorante che sbraitava e imprecava
ogni qual volta qualcuno la urtava, ovvero sempre. Nel momento in cui pensai di
voler essere portato fuori da me stesso, in un’incredibile lontananza
inaccessibile, furono forse semplicemente quei capelli neri che, prepotentemente
con la loro sorda presenza, sfioraronono il mio viso e il mio naso sotto
quell’inevitabile spinta. Se fosse successo con chiunque altro, avrei provato –
come mi succedeva – fastidio e repulsione. Invece in quel momento il mio cervello usci
dall’apatia e considerai che il di fuori vuoto dell’attrazione, ovvero la mia
indifferenza verso la giovane donna, si stava tramutando nel suo opposto. La
mia era un’attrazione dissimulata, perché essa si poneva come pura presenza
ravvicinata da una spinta opprimente dell’intero vagone. Un’attrazione
ostinata, ridondante, superflua, un’attrazione respingente piuttosto che non
attraente, un’attrazione non voluta ma che ti costringeva ad un rapporto molto
simile ad un corpo a corpo. Era un sentirsi minacciati di essere assorbiti o
compromessi da essa in una confusione smisurata. Fu in quell’attimo che un
effluvio intenso, caldo, misterioso e infinitamente attraente, si sprigionò da
quella folta capigliatura nera. Più l’avvertivo e più il mio viso si spingeva
tra i capelli della giovane donna. Avvertivo un’opulenza orientale e ne
riconoscevo le note. Ho sempre amato i profumi e a naso ne potrei distinguere
moltissimi anche se col tempo sto perdendo questa qualità. Mi spinsi ancora più
che potevo vicino alla donna. La donna reagì infastidita, ma, poverina, non
poteva muoversi incastrata com’era tra il grassone e la vecchia imprecante.
C’era sicuramente il gelsomino, e il mandarino, c’era pure l’opoponax, ma c’era
anche del patchouly, del sandalo. Il treno tra scossoni e sobbalzi ci accostava
e ci scostava. Ero piacevolmente frastornato e stordito e solo a quel punto mi
accorsi di quanto vicini fossero i nostri corpi. Mi assalì un imbarazzo per me
sconcertante, ma nonostante avvertissi tutto questo il mio pensiero elaborava
velocemente tutta una serie di nomi: opium,
oud royale, macassar, red door, coco, amarige. Poi, quasi come un flash,
superai l’imbarazzo e sussurrai all’orecchio della donna ormai vicinissimo alla
mia bocca un nome. Bisogna sempre parlare per difendersi, bisogna sempre dar
voce e parole ai propri pensieri e darli nel modo più chiaro possibile se si
vuole veramente percepire pienamente il mondo che ci sta intorno e bisogna
farlo ininterrottamente e altrettanto definitamente. Difendersi dall’imbarazzo
ma anche da quella improvvisa attrazione soprattutto se questa era dissimulata.
Sussurrai un solo nome ponendo una domanda che pretendeva una risposta: Cinnabar ? La donna come in un sussulto
sembrò rilassarsi, si distese, si tranquillizzò, si girò di scatto e sembrò
finalmente rassicurata, anzi sembrò quasi volersi abbandonare alla mia
vicinanza, mi sorrise e disse: “si, è
Cinnabar, ma come ha fatto? “
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