Attraverso l'evolversi delle
culture e delle politiche la natura umana è stata "addomesticata" e
oggi gli uomini vivono in una sorta di recinto custodito o di
"parco". Questo parco, che continua a riprodursi, altro non è che il
nostro attuale mondo tecnologico. Così pensa Peter Sloterdijk, come leggiamo
nel capitolo più provocatorio del suo libro (Regole per il parco umano) che ha
già sollevato accese discussioni. L'intero libro, costituito da dieci saggi
scritti tra il 1989 e il 2000, è in realtà una originale e sorprendente
risposta all'umanismo di Heidegger in cui l'idea stessa di uomo sembrava
destinata a trasformarsi radicalmente. Sloterdijk fa sua questa "svolta
dell'essere" nell'epoca della tecnica, portandola alle estreme
conseguenze. Heidegger risulta infine troppo ingenuo e naturalistico rispetto
alla macchina storico-politica che ha portato all'esistenza
"artificiale" di oggi e che Sloterdijk analizza in tutte le sue
sfaccettature. Se per Heidegger solo un dio poteva salvarci, per Sloterdijk Non
siamo ancora stati salvati: ma, suggerisce l'autore, si tratta davvero di
attendere? E’ un attesa vana, perché non saremo salvati da nessuno se non da
noi stessi. Peter Sloterdijk è nato nel 1947 a Karlsruhe dove è tuttora
professore di Filosofia ed Estetica alla Hochschule
für Gestaltung. Erede della Scuola di Francoforte, con interessi che
spaziano dalla filosofia all'antropologia, dall'estetica alla biologia evolutiva,
si è fatto conoscere sulla scena internazionale con i due volumi della Critica
della ragione cinica (1983). Negli ultimi anni ha realizzato un ambizioso
progetto, in cui interpreta l'intera storia del genere umano, dal titolo Sfere
(tre volumi, 1988-2004). E’ quasi superfluo aggiungere che questo libro mi ha
completamente rapito più di qualsiasi altra lettura, penso soprattutto questo
se mi soffermo sulle sterili proposte di letteratura contemporanea e mi convinco
sempre più che il testo filosofico può essere un vero e proprio testo
letterario soprattutto oggi. Sloterdijk ha la straordinaria capacità di catapultare in scenari di grande impatto
emotivo e in questo libro lo fa sovvertendo le tesi salvifiche di Heidegger. Pensando
Heidegger contro Heidegger, come lui si esprime, si tratta di capire che cosa
abbia dato inizio al fenomeno umano, cioè quando l’uomo ha cominciato ad essere
tale, e alla relazione tra essere e uomo. Se Heidegger parla della Lichtung dell’essere, ovvero dell’apertura, della radura dell’essere in cui l’uomo soggiorna, allora si tratta di
pensare “come l’uomo sia giunto alla
Lichtung o come la Lichtung sia giunta all’uomo. Dovremmo sapere come venne
prodotto il lampo, nella cui luce il mondo ha potuto illuminarsi come mondo”
(p. 122). Ovvero, come nella scena di 2001
Odissesa nello spazio l’indimenticabile film di Kubrick, come si generò la
scintilla che permise a quella scimmia di avere consapevolezza che quell’osso
potesse diventare un’altra cosa. Sloterdijk parte dalla necessità di quel che
chiama il “circolo antropotecnico”.
Per comprendere la “condizione umana”, egli afferma, non si deve presupporre
l’uomo, ma è al contempo necessario avere come prospettiva la comprensione
dell’uomo nello stato attuale di civilizzazione. A nulla vale elaborare una
teoria antropologica se questa poi non chiarifica la condizione attuale del
fenomeno umano. Dunque la sua tesi principale è che l’uomo sia un prodotto
della Lichtung. Ma che cos’è la Lichtung? E’ quell’apertura di cui si è accennato poc’anzi.
Per rispondere a tale domanda, secondo Sloterdijk bisogna comprendere il
processo di de-animalizzazione
dell’animale che ha avuto come conseguenza la comparsa dell’uomo. Così, per Sloterdijk
mentre l’animale si muove e vive nel suo ambiente (Umwelt) è proprio dell’uomo quello
di distanziarsi/uscire dall’ambiente per “irrompere
nella dimensione ontologica priva di gabbia” (p. 128) che tradizionalmente
chiamiamo “mondo”. Solo l’uomo,
continua Sloterdijk, spezzando la gabbia dell’ambiente “viene al mondo”. Ed è proprio una teoria del “venire al mondo”, una teoria spaziale-orizzontale dell’evento del
mondo e dell’evento dell’umano, quella che deve sostituire, o quanto meno
integrare, la teoria della caduta verticale nell’esistenza preferita dallo
Heidegger di Essere e tempo. Per Sloterdijk, l’uomo è un prodotto, naturalmente
aperto ad ulteriori modificazioni, di meccanismi antropogenici pre-umani e
non-umani (p. 132). E’ proprio questo punto che spinge il lettore verso scenari
incredibili e radicali che spazzano via convinzioni e limiti ritenuti fino ad
ora insuperabili. Nella Lettera
sull’umanismo Heidegger, andando al di là della sua preferenza per la
relazione tra l’essere e il tempo, ci dà, suo magrado, le parole-chiave del
passaggio dall’ambiente al mondo: la casa dell’essere, l’esistenza come abitare.
A patto da intendere tali espressioni in senso più concreto, c’è in esse, non
esplicitata, una originale teoria dello spazio umano e dell’entrata in esso.
Proponendosi di esplicitare tale teoria Sloterdijk introduce il concetto di
sfera. La sfera, egli afferma, è qualcosa di molto vicino al concetto platonico
di chora, ovvero : luogo, regione,
contrada. Ebbene queste sfer , nel suo percosro teoretico, sono sono “descrivibili come i luoghi della risonanza
interanimale e interpersonale, in cui i modi in cui gli esseri-viventi stanno
insieme acquisiscono un potere plastico. […] È all’interno delle risonanze
della sfera che dal muso animale si sviluppò il volto umano” (p. 137). Esse
sono innanzi tutto paragonabili a delle “serre”
in cui l’umanità dell’uomo è maturata e continua a maturare allontanandosi
sempre più dall’animale originario che l’ha generato; sfere che si sono
costituite come “aperture mediane” tra
“ambiente” e “mondo”, come veri e propri “agenti di cambio” tra le forme di
coesistenza corporeo-animali e quelle simbolico-umane “ (vedi p. 138).
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