mercoledì 21 ottobre 2020

A VICO EQUENSE SI SOSPENDE IL PRONTO SOCCORSO PER INCREMENTARE IL PERSONALE NEI CENTRI ANTI COVID. IL GIOCO AL MASSACRO SULLA PELLE DEI CITTADINI CHE PERO' NON FIATANO. :

 



Un paese con un territorio estesissimo com’è Vico Equense, un paese con più di venticinquemila abitanti e un dirigente sanitario pretoriano di De Luca che in una sera decide di sospendere il Pronto Soccorso perché le unità del personale impegnato devono essere smistate nei centri anti Covid previsti da De Luca.  Così si lascia una città scoperta senza un presidio di Pronto Soccorso, che non era attrezzato come doveva esserlo un pronto soccorso, ma che ha sempre fornito un primo intervento, e per chi scrive, due volte salvifico. Da ieri sera questa cosa non sembra sia più possibile. E’ Un fatto gravissimo! Ma col Covid si stanno sdoganando le peggiori rappresaglie antipopolazione mai viste fino ad ora. Ci sarebbe dovuto essere tutto il paese, soprattutto i cittadini della zona alta, ancora più lontani da Sorrento e Castellammare ormai gli unici presidi di pronto soccorso sul territorio, ma stamattina ho visto solo un consigliere della minoranza e alcuni consiglieri della maggioranza con qualche rappresentante di Associazione di categoria ( commercianti), per intenderci i supporter del sindaco Buonocore, che fa la parte della bella addormentata nel bosco.

Mi basta un’occhiata per capire che ancora una volta si sta giocando un gioco sporco sulla pelle dei cittadini. L’Ospedale unico aleggia su tutto. Questa chiusura improvvisa è una prova tecnica di presa per i fondelli, pensata al tavolino l’ennesima: i consiglieri di maggioranza, il consigliere di maggioranza Giuseppe Aiello, che parte per andare in Regione e dice che non si muoverà di lì se non gli daranno assicurazioni certe di riapertura. Tornerà a Vico con qualche impegno preso di un funzionamento a scappamento ridotto e tutti crederanno nella bontà di questi nostri amministratori e andranno a casa felici e contenti.

 Insomma, il solito gioco delle parti, ma il destino dell’Ospedale De Luca e Rossano di Vico Equense è ormai segnato, e lo sanno tutti, anche quelli che ora fanno finta di protestare e il Covid gli sta dando il colpo di grazia. Qualcuno dice di ricorrere al TAR, come se non sapessimo che il TAR è l’espressione di chi amministra la cosa pubblica alla quale da sempre ragione.  Le istituzioni locali con la delibera comunale di indirizzo n.53/2012 acconsentirono alla chiusura del nostro  ospedale: la votarono tutti e dico tutti, anche quelli che oggi dicono di voler ricorrere al TAR, anche quelli che dicono che vi apportarono dei cambiamenti. Votarono tutti quella delibera in consiglio comunale, il sindaco di allora Gennaro Cinque e l’attuale sindaco Andrea Buonocore, che oggi dice di non sapere niente.

E così si organizzano le pagliacciate che stiamo vedendo da ieri sera: un presidio dove ci sono i fiancheggiatori di Andrea Buonocore che sembrano svegliarsi ora . Un disegno ben preciso tutto all’interno di una sanità allo sfascio in Regione Campania, dove se c’è qualche eccellenza, la si deve solo all’abnegazione e alla professionalità da poche mosche bianche. De Luca da Fazio, mantenendo fede alla maschera da gran guignol che si è stata cucito addosso e che ora esibisce come un vezzo, vuole passate come l’unico oppositore del COVID in Italia. Con le sue esternazioni da capo bastone sembra aver voluto mandare a tutti questo messaggio: in Campania si può morire di tutto,di febbri infettive, emorragie interne, infarto, cancro, basta che non si muoia di Covid, anche se poi tutti i positivi importanti si fanno riprendere nelle loro case sorridenti e truccati e fanno anche il doppio tampone. Questa è la sanità in Campania,e in Italia, mi risponderanno che è molto meglio di quella statunitense, ma si stanno facendo passi da gigante per poterne raggiungere al più presto gli stessi standard. Buona salute a tutti è l’unico augurio da farsi.

 


 

NATO NEL 1945


 

Qualche giorno fa un amico mi ha donato questo librccino; 33 paginette che in maniera asciutta, ma molto coinvolgenti, descrivono il racconto di una vita di un uomo, quella di Raimondo, con una semplicità spiazzante e con una sincerità disarmante. Raimondo Buonocore con questo libretto che lui stesso ha scritto e voluto, senza pretesa alcuna, con una istruzione traballante, per sua stessa ammissione, ci racconta cosa è stata ed è per lui la vita. La sua avventura personale in un paese che non esiste più, in una società rurale che era già sparita nei primi anni sessanta tra povertà e miseria ma con una grande dignità umana, il suo percorso interiore che non è solo dei cosiddetti intellettuali, ma anche di chi, con poche classi elementari e tanto lavoro sulle spalle, matura una crescita politica che lo porta ad essere comunista nella seconda metà dei sessanta. Una scuola e un apprendimento che gli viene dai suoi compagni di lavoro e che lui mette a frutto con scrupolosa attenzione. Così si allontana dalla sua vecchia cultura contadina, senza però mai rinnegarla e rispettandola e abbraccia i valori di solidarietà, amicizia, rispetto per l'ambiente e l'umanità. Raimondo è rimasto un comunista, ma non il comunismo o i comunisti raccontati dai media ufficiali, ma un comunista che ha a cuore le sorti di tutti gli uomini specialmente i più poveri e i più deboli, un comunismo fatto di amicizia disinteressata e di accoglienza e di solidarietà. E' un libriccino toccante, per molti aspetti commovente, una testimonianza di un mondo che è sparito per sempre ed è proprio questo che ha spinto Raimondo Buonocore a scriverlo: il suo domandarsi dove siano oggi finiti quei valori e perché sono spariti. Lui non ha mai dato importanza ai beni materiali, anche un po' bonariamente deriso forse per questo; e il libretto si chiude con una riflessione degna di un filosofo autentico:" Il mio "capitale" è sempre stato l'amicizia; la mia vera ricchezza sono gli amici che ho in tutto il mondo. Voglio trascorrere il tempo che mi resta a leggere e a viaggiare, per conoscere sempre nuovi luoghi, nuove persone, nuovi modi di vivere e di pensare". Grazie Raimondo per questa tua testimonianza e impegno di vita.

TRA SAGGIO E ROMANZO, NISO TOMMOLILLO CON " GLI ACIDI MI HANNO FATTO MALE", RACCONTA LA ROMA OPERAIA DELLA VISCOSA NEL VENTENNIO FASCISTA

 


Mi è arrivato ieri tra le mani questo agile volumetto, opera prima di un giovane antropologo culturale: Niso Tommolillo, una laurea presso la Federico II e una Specializzazione  presso La Sapienza di Roma, un percorso attento di studi fatto con la tenacia di chi oltre a volerla studiare la società, vorrebbe anche contribuire a svelarne i processi  di violenta reificazione capitalistica che agiscono sul corpo operaio, inteso non solo come classe, ma proprio sul corpo fisico di ogni individuo, e combattere questi stessi processi  per tentare di avere una società più equa e più giusta, soprattutto per i più deboli. Il libro è edito da un’editrice indipendente, Il Galeone  e si può comodamente ordinare in libreria e on line www.edizioniilgaleone.it . Naturalmente ho letto il libro prima, in bozze, ma vederselo tra le mani confesso che mi ha emozionato: conosco Niso Tommolillo  da quando è nato, ed è cresciuto anche in braccio a me, e sono fiero delle sue scelte di studio e di vita, che con caparbietà porta avanti in un contesto sociale sempre più chiuso e sempre più spietato nei confronti proprio di queste tematiche. Il libro, dopo una introduzione che illustra i contributi di filosofi ( Foucault, Bourdier, Agamben )  che si sono occupati delle problematiche dello sfruttamento e degli effetti del lavoro alienato sul corpo fisico di ogni individuo, ovvero della malattia e del malessere fisico e psichico prodotto da un lavoro spesso non assicurato e insicuro, si trasforma, e qui è l’approccio interessante del libro di Niso Tommolillo, in ciò che lui stesso o forse l’editore, come sottotitolo, hanno voluto chiamare, ovvero: narrazioni operaie della Viscosa di Roma. Il titolo un po’ provocatorio di “ Gli acidi mi hanno fatto male”, sembrerebbe voler rimandare a qualche esperienza psichedelica lisergica non andata bene,  e l’autore credo abbia voluto giocare su questo, ma in realtà poi, leggendo il libro si capisce che ci si riferisce agli acidi prodotti dalla  ex fabbrica SNIA Viscosa, già CISA Viscosa,   un complesso industriale di Roma, situato nel quartiere Tiburtino su via Prenestina, all'altezza di largo Preneste, nell'attuale parco delle Energie, che nei primi anni venti del secolo scorso produceva seta artificiale. Niso Tommolillo  ha spulciato nell’Archivio Storico Viscosa- Centro di Documentazione Territoriale Maria Baccante, contribuendo alla fondazione del centro stesso, e tra carte, memorie e documenti ha fatto rivivere in queste pagine le persone, i fatti e le storie di vita vissuta di operaie e di operai negli anni del fascismo e della seconda guerra mondiale a Roma. Ne viene fuori un racconto avvincente e crudo di sfruttamento, devastazione ambientale, infortuni sul lavoro. L’originalità dell’autore sta proprio in questa ibridare la scrittura saggistica e quella letteraria, un bell’impegno, portato a buon fine per un autore alla sua prima esperienza. Niso Tommolillo è da sempre impegnato nel sociale e in prima linea per la difesa della causa del popolo Curdo. E’ stato a Kobane, insieme ad altri compagni, come osservatore internazionale in un momento difficile e pericoloso durante l’assedio turco,  e in molti siamo stati in apprensione per lui e ha documentato con una interessante mostra fotografica - da lui stessa fatta girare e commentata - le condizioni di un popolo perseguitato. Allievo e pupillo di una grande antropologa scomparsa da poco, Amalia Signorelli, Niso Tommolillo ne continua in memoria il suo testamento spirituale e l’impegno culturale, in un paese, il nostro, troppo involuto su arretramenti individualistici e provincialismi di ritorno e paure collettive. Un libro da acquistare, leggere e sul quale meditare.